Gianluca Magnani e il softball…

13/05/2015
Oltre 2mila trecento gare arbitrate, Campionati del Mondo, Olimpiadi, 17 anni consecutivi di finali scudetto

Oltre 2mila trecento gare arbitrate, Campionati del Mondo, Olimpiadi, 17 anni consecutivi di finali scudetto. Un palmares che ne fanno l’arbitro italiano di softball, una sorta di nostro ambasciatore nel mondo della “palla soffice”.

Recentemente è stato invitato dalla federazione spagnola, in qualità di istruttore, per un corso di certificazione per la massima serie del campionato iberico, ennesima soddisfazione di una carriera lunghissima, cominciata nella primavera del 1987.

Partiamo da lì Gianluca, cosa ti ricordi? “Mi piaceva il baseball – ci risponde – abitavo a 30 chilometri da Parma e ci andavo al liceo. Spesso andavo a vedere le partite del campionato, sino a quando un sabato mattina mi chiesero se volevo fare il corso per arbitro. Ma scherziamo? Ed invece, grazie anche all’insostituibile pazienza di mio padre che mi accompagnava, cominciai con altri amici, a seguire il corso, era la primavera del 1987 ed avevo 16 anni”. Gli inizi vedono l’adolescente Magnani arbitrare poco e comunque il baseball. La svolta arriva nel 1993 con il classico corso a Tirrenia per il passaggio nelle liste nazionali, “con Marco Taurelli e Cristina Anghinetti”, ricorda. Da li sboccia l’amore per il softball, che caratterizzerà la sua carriera.

Ma in che cosa sono così diversi il baseball ed il softball? “Sono proprio due sport completamente diversi, ognuno con una propria filosofia e spirito. La stessa differenza che potrebbe intercorrere tra un maratoneta ed un centometrista. Il baseball è maggiormente logorante, nel softball tutto si svolge in un tempo molto più breve e per quanto riguarda l’aspetto arbitrale, devi essere molto bravo nel cancellare un eventuale errore che hai commesso, perché hai un tempo molto breve per azzerare tutto e ricominciare da capo”.

Una carriera molto lunga e ricca di soddisfazioni ma cosa ti ha dato in verità il softball? “Al di là di quello che si possa pensare, io sono una persona timida e questo bellissimo sport mi ha dato davvero tanto, per lo stare in mezzo alla gente. E poi anche un’altra cosa, della quale mio padre fu molto entusiasta all’inizio e che io non capivo: l’assunzione di responsabilità che il ruolo comporta. Inoltre, non posso certo negare che mi ha dato la possibilità di girare il mondo, per un arricchimento personale che sarebbe stato difficile avere”.

E che cosa ti ha tolto, se lo ha fatto? “Mi ha tolto i sabati – scherza Magnani – ed anche le domeniche. Per fortuna ho avuto degli amici che hanno saputo comprendere questa mia grande passione. Se lo vuoi fare seriamente, l’arbitro ti porta a fare molte rinunce, è una passione per la quale ci vuole tanta pazienza”.

Quali sono i momenti della tua carriera che ricordi maggiormente volentieri? “Le Olimpiadi di Pechino rimarranno indelebili, con la finale a capo per la gara che assegnava il bronzo, Giappone contro Australia, 12 inning per 3 ore e 23 di partita, la gara più lunga nella storia della manifestazione. E poi finali Mondiali, tante altre manifestazioni, 18 anni di play off italiani. Molti bei ricordi e soddisfazioni”.

In che cosa è cambiato il softball da quando hai cominciato ad arbitrare? “Prima era uno sport maggiormente legato alla difesa, con sfide di grandi lanciatrici, nella speranza che prima o poi un punto lo si sarebbe segnato. Da una decina di anni a questa parte o forse più, l’attenzione si è spostata di più verso l’attacco. Credo che adesso ci siano dei battitori molto più forti e lo si può notare dal numero dei fuoricampo che adesso si realizzano. Prima erano degli eventi assai più rari. Ed ovviamente anche il livello arbitrale è molto cresciuto, di pari passo con la tecnologia. Adesso esiste una mole di informazioni tecniche più facilmente raggiungibili, rispetto ad un tempo. L’accesso alle fonti di conoscenza è più semplice, e questo ovviamente comporta anche una maggiore responsabilità, da parte dell’arbitro. Del resto non è bello, e non mi piace, avere ragione d’autorità”.

Ci racconti qualche aneddoto? “Durante un torneo amichevole, quando mi trovai davanti un mito come Tonino Micheli, a dovergli spiegare una decisione a casa base che avevo preso. Io ero un “rookie” e volevo fargli vedere che avevo ragione ma usai le parole sbagliate.  La sua risposta la ricordo ancora. Mi disse che non avrebbe fatto protesto soltanto perché era un torneo ma che in campionato, lo avrebbe presentato sicuramente. Questo mi fece capire quanto è importante la proprietà del linguaggio che utilizzi, per rispondere ad un manager e spiegare una tua decisione”.

Hai ancora un sogno da realizzare su di un campo da softball? “Si ce l’avrei – conclude Gianluca – preferisco però che rimanga un sogno e ti spiego. Di tutte le manifestazioni internazionali che ho fatto mi manca di poter fare la finale dei Campionati Europei. L’unica volta che l’Italia non andò in finale, purtroppo ero impegnato nel Mondiale Maschile che terminava di lunedì e non fui designato per quel Campionato Europeo. In tutti gli altri, l’Italia è sempre andata in finale e spero che continui così. Vorrà dire che rimarrà un sogno…”.