04/12/2014 2 Minuti di lettura

Fabrizio Fabrizi e il baseball

Sono passate poco più di due settimane ma nella sua testa ancora si accavallano immagini e suoni d’un’esperienza indimenticabile che ha contribuito a farlo crescere sia come arbitro che come persona

Sono passate poco più di due settimane ma nella sua testa ancora si accavallano immagini e suoni d’un’esperienza indimenticabile che ha contribuito a farlo crescere sia come arbitro che come persona.

Lui è Fabrizio Fabrizi, giovane “blues” italiano di ritorno dalla prima edizione del Mondiale IBAF Under 21, svoltosi a Taiwan lo scorso mese di novembre.

Fabrizio, seppur giovane, ha alle sue spalle un curriculum degno di nota, se si pensa che ha cominciato ad arbitrare dieci anni fa, con all’attivo diverse manifestazioni internazionali, tra le quali due fasi di Coppa Campioni, un Europeo Seniores, le Asian Series ed infine questa prima esperienza mondiale.

La prima sensazione che ti è rimasta dentro? “Senza dubbio il modo in cui vivono il baseball a Taiwan. Nei telegiornali le prime notizie sono quelle di baseball, per strada, nei pressi dello stadio, può capitarti che alcuni ragazzini ti chiedano l’autografo, anche se tu gli dici che sei “solo” un arbitro – sorride Fabrizio – e poi l’incredibile atmosfera di gioia e divertimento che si respira allo stadio”.

Un’esperienza importante, dunque, sia sotto al profilo tecnico che quello umano? “Certamente. Sotto l’aspetto tecnico, sin dalla prima designazione, in seconda base per l’Opening game tra Cina Taipei e Messico, con 5mila persone sugli spalti ed un frastuono che non ti faceva quasi sentire la tua voce, sono stato impiegato in gare importanti, con squadre del primo gruppo, sino alla soddisfazione per la finale del bronzo a casa base tra Corea del Sud e Nicaragua”.

Com’è stato il livello di gioco? Ti sei sentito adeguato? “Livello di gioco molto alto, con buonissimi lanciatori e devo dire che grazie anche al comportamento tecnico e di fair play delle squadre, mi sono sempre sentito all’altezza: visto la situazione, non era davvero possibile arbitrare male. Bello anche il rapporto con i colleghi, alcuni di loro veri e propri professionisti del mestiere, che però, mai, in nessuna occasione, ci hanno sminuito e fatto sentire ad un livello inferiore. Anzi. Con i loro consigli e suggerimenti, hanno contribuito ad arricchire in modo ineguagliabile, questa già indimenticabile esperienza”.

Cosa riporti a Nettuno dentro la valigia dei ricordi? “Due cose, sinceramente, farò fatica a scordare: la haka, la danza del popolo Maori eseguita dalla nazionale neozelandese, che mi fa venire i brividi anche adesso che lo racconto, e la finale del primo posto, che purtroppo io ho potuto vedere solo per un’oretta, dato che avevo l’aereo in partenza per tornare in Italia. Uno spettacolo di livello assoluto, 18mila persone a fare il tifo per la loro squadra, con un entusiasmo che sarebbe davvero un sogno per noi in Italia e che mi porterò sempre dietro nel cuore”.

Qualche ringraziamento particolare? “Ricordo con affetto il mio primo istruttore Aldo Salvadori ed ovviamente un ringraziamento va a coloro che mi sono stati vicini nella corso della mia formazione, Santino De Franceschi, Marco Screti, che dopo un torneo di slow pitch mi portò al corso e poi Marco Taurelli e Pierfranco Leone”.